La cucina della antica Roma

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Diversi autori (Apicio, Giovenale, Petronio, Columella, Plinio il Vecchio) hanno descritto ingredienti e preparazione dell’antica cucina romana. Molti ingredienti della dieta mediterranea mancavano: pomodori, peperoni, melanzane, patate, riso, granoturco, fagioli, aranci, mandarini. Contrariamente a ciò che si crede i carciofi c’erano, e pure gli asparagi. I cereali in uso erano il farro, l’orzo, l’avena, a cui si aggiunse poi il frumento duro.

Plinio il Vecchio descrive un Tiberio parco, con gusti semplici e ghiottissimo di cetrioli, tanto che i suoi giardinieri avevano inventato serre coperte da vetri e montate su ruote per sfruttare il sole il piú a lungo possibile e farglieli avere in qualsiasi periodo dell’anno.

Elio Sparziano descrive il piatto preferito da Adriano: il tetrafarmaco, un involucro di pasta dolce ripieno di carni di fagiano, di lepre e di cinghiale, certamente allusivo alla passione di Adriano per la caccia.

Giovenale narra di un gigantesco rombo, regalato da un pescatore a Domiziano, per cui non si trovava pentola abbastanza grande, onde si richiese una sessione straordinaria del Senato. Il risultato fu che si ordinò un tegame su misura.

Petronio descrive nel Satiricon un banchetto dell’arricchito Trimalcione:
Tornando all’antipasto, su un grande vassoio era sistemato un asinello, di bronzo corinzio, che portava una bisaccia a due tasche, delle quali l’una conteneva olive chiare, l’altra scure… piccoli sostegni, poi, saldati al piano del vassoio, sorreggevano dei ghiri spalmati di miele e cosparsi di polvere di papavero. Non mancavano anche delle salsicce che friggevano sopra una griglia d’argento e sotto la griglia prugne siriane con chicchi di melograno… un vassoio rotondo che aveva disposti, uno dopo l’altro, in circolo, i dodici segni zodiacali, sopra ciascuno dei quali il maestro di cucina aveva sistemato il cibo proprio e adatto al referente… pollame e ventri di scrofa ed in mezzo una lepre, provvista di ali, in modo da sembrare un Pegaso… un vassoio, sul quale era sistemato un cinghiale di grande mole, e per giunta fornito di un cappello, dalle cui zanne pendevano due cestini, fatti di foglie di palma intrecciate, ripieni l’uno di datteri freschi, l’altro di datteri secchi. Intorno al cinghiale, poi, dei porcellini fatti di pasta biscottata, dando l’impressione di stare attaccati alle mammelle, indicavano che il cinghiale era femmina...”

Famosi poi i pranzi del ricchissimo Lucullo, che non considerava alcun banchetto all’altezza di quelli di casa sua, per raffinatezza e gusto, al punto che, richiesto di quale nobile casa fosse ospite per la cena, rispose:
Stasera Lucullo mangia da Lucullo“.

L’ETICHETTA

Il posto d’onore, detto “consolare”, era all’estrema destra del letto centrale, così chiamato perché un messaggero, entrando dalla porta di fronte, potesse facilmente trasmettergli una comunicazione urgente. Il padrone di casa si disponeva subito a sinistra dell’ospite d’onore.

I Romani non usavano la forchetta (fuscinula, kreagra), che viceversa era stata inventata dagli Etruschi. Rinvenimento in una tomba etrusca: come la nostra forchetta, in bronzo, con un manico però ad asta e una pallina in cima.

Neppure i Greci usavano la forchetta, quando giunse dalla Cina fu avversata dalla chiesa cattolica come strumento diabolica proibendone, chissà perchè,  l’uso nei monasteri.

FORCHETTA ROMANA DA CARNE

Però per infilzare le carni ardenti in cucina la forchetta si usava a Roma, lo dimostrano esemplari conservati nella Collezione Gorga (Lodovici), databili al I-IV sec. d.c., con tre o quattro punte, caratterizzati da un manico a sezione esagonale con una piastrina a zoccolo d’animale. Un reperto romano esposto a Ventimiglia, mostra una forchettina a sole due punte che veniva usata per infilzare i datteri. Erano usati invece i coltelli per tagliare dal piatto di portata.

Il cucchiaio era conosciuto dai Romani, e ne usavano in legno, bronzo o argento, distinguendoli in cochlearia, di uso più giornaliero, e ligulae, più sofisticate.
I cochlearia avevano manico lungo e diritto che finiva a punta. Se ne trova sin dalla tarda repubblica (tesoro di Tivoli). Nel I sec. d.c., avevano coppa rotonda congiunta al manico. Dal IV – VII sec. d.c. erano ovali con un raccordo per il manico.
Le ligulae avevano coppa più ampia, ovale e più pesante, con un manico diritto e a punta. In età tardo-romana ebbe manico ad occhiello con terminazione a testa di uccello.

Per attingere i liquidi dalla zuppiera c’era c’era la trulla, cioè il mestolo.

Il cibo solido vicerversa si prendeva da un piatto di portata o servito da uno schiavo in un piatto personale che si teneva con la mano sinistra, appoggiata; con la destra si portava il cibo alla bocca in piccole quantità, attenti a non sporcarsi. I piatti romani, come quelli odierni, potevano essere piani (patina o patella) o fondi (catinus), i bicchieri senza manico o poculum o le coppe. Proprio per l’utilizzo delle mani, alla fine di ogni portata i servi provvedevano al loro lavaggio prima di passare al piatto successivo. Per cui i convitati erano tenuti a pulirsi le mani con l’acqua profumata servita all’inizio e durante la cena.
C’era anche l’uso però di ditali d’argento che ognuno si portava da casa e indossava per il banchetto onde non sporcarsi le dita.

A fine cena, ci si puliva i denti con lo stuzzicadenti (“pinna”), che poteva essere di piuma, osso, avorio o d’argento.

TIPICA CUCINA ROMANA

In genere ci si serviva dai piatti di portata, ma talora si teneva in mano una larga ciotola (pàtina). Il cibo si portava alla bocca con le dita; si usava solo il cucchiaio anzi diversi cucchiai di forme diverse, il coltello non serviva perché i servi tagliavano il cibo in bocconi.

Gli avanzi del cibo stranamente non si ponevano in un piatto perchè la vista era giudicata indecorosa, per cui si gettavano direttamente a terra.

Nel triclinio si entrava col piede destro e ci si accomodava al proprio posto, un lettino per 3 persone dove mangiare distesi. Per i Romani il piede destro era ben augurale, era infatti doveroso alzarsi dal letto ponendo in terra prima il piede destro, altrimenti la giornata non iniziava bene.

Portava male, e quindi non era educato, rovesciare il sale sulla tavola. Se accadeva si gettava un po’ di sale dietro le spalle del padrone di casa.

Proibito anche pronunciare la parola fuoco, forse la paura degli incendi, ma soprattutto per antiche tradizioni del primitivo focolare domestico, per cui ciò che è sacro non può essere nominato con disinvoltura.
Se accadeva bisognava gettare acqua sotto la tavola. Non a caso prima di mangiare si faceva un’invocazione a Vesta.

Si poteva presentare al banchetto successivo una pietanza avanzata a quello della sera prima, però il padrone di casa era tenuto ad avvisare, ponendo un cappello sul piatto da gustare, il che spiega perchè Petronio descrive il cinghiale con un cappello in testa.
Era d’uso bere alla salute di un commensale tanti bicchieri quante erano le lettere del suo nome. Il banchetto terminava con una libagione ai Lari, di cui venivano esposte le statuette sacre.

Per quanto a volte esagerati, i Romani avevano il valore romano della “continenza”, per cui un uomo di valore non mangiava fino a vomitare, non si ubriacava, lasciava parlare gli altri, si congratulava col padrone di casa per l’ospitalità anche se non era perfetta, non teneva comportamenti lascivi in pubblico, era pulito e se la veste era macchiata provvedeva a cambiarla.

Infatti Seneca rimprovera i ricchi costumi della mensa post repubblicana, da “Consolazione alla madre Elvia”:
Non occorre frugare gli abissi marini né gravare il ventre con cataste di animali né estrarre ostriche dai lidi ignoti del mare più remoto. Gli Dei e le Dee maledicano una ghiottoneria che travalica i confini di un tale impero! Vogliono che si catturino oltre il Fasi gli ingredienti della loro gastronomia, e si preoccupano di importare dai Parti volatili invece che di riportarne vittorie.”

CULINA

LA STANZA DELLA CUCINA

La cucina nella domus era ubicata in un settore laterale, insieme ad altri ambienti di servizio e solitamente era un ambiente piccolo, caratterizzato dalla presenza di un zoccolo in muratura con un ripiano sul quale si aprivano uno o più focolari. Per la cottura dei cibi si utilizzavano pentole e tegami in terracotta o in metallo, appoggiati su treppiedi o direttamente sulle braci.

Nello zoccolo in muratura erano ricavate una o più nicchie che contenevano le riserve di legno e il vasellame. A volte la cucina poteva essere dotata di un piccolo forno per la cottura del pane. Il vasellame, che a volte vi poteva essere conservato, poteva essere in argento, in bronzo, in rame, in ferro, in vetro, in ceramica aretina, in terracotta, in legno e in vimini. Era un ambiente non molto grande, spesso senza finestra, con un forno per il pane e le focacce, un acquaio e una sorta di fornelli in pietra a legna o carbonella.

Tutto ciò perchè le donne romane di una certa classe non cucinavano, c’erano gli schiavi per questo, per cui il locale adibito non necessitava di decorazioni o lussi.

I cibi venivano cotti in pentole di argilla o bronzo. C’erano mestoli e palette di ogni tipo, in legno e in bronzo, con ciotole e vasi di terracotta, paioli per il camino, ventole, barattoli di spezie e di salse.

C’erano pure colini con manici graziosamente traforati, e brocche, e contenitori in bronzo, ceramica e pure in ferro, per i formaggi, i datteri, la frutta, la zuppa, e perfino vasetti per la ricotta.

Esistevano anche i macinini, come rinvenuto a Pompei, in bronzo e legno, con un cassettino, come quelli che ancora oggi si usano, in cui sono stati trovati residui di pepe e spezie, evidentemente acquistate intere e poi macinate.
Pertanto la cucina implica gli oggetti per cucinare e quelli della tavola.

LA CONSERVAZIONE DEI CIBI

Dato il clima mite e, nei mesi estivi, il caldo di Roma, il problema della conservazione dei cibi era quotidiano. Le soluzioni erano diverse:

  • affumicare, di solito usato per i formaggi;
  • seccare al sole, diffuso su molte cibarie, specie carni, ma pure per il pesce;
  • spalmare miele, per la frutta fresca;
  • metter sotto sale, dopo che Tiberio costruì le saline, salinae;
  • le uova si conservavano dentro la farina, oppure nella sabbia.

Per i più poveri le pratiche ancor oggi in uso: sott’aceto, in salamoia, erbe essiccate, sotto sale.
Una curiosità, invece è quella della tipica usanza di mettere sottoterra carote, rape, navoni e ramolacci.

I poveri interravano infatti ciò che andava conservato unendolo a paglia e sabbia.

IL GUSTO

Una caratteristica della cucina dell’antica Roma era l’accostamento di sapori contrastanti tipo il dolce con il piccante o il dolce con lo speziato. Oggi diremmo una combinazione tra cucina occidentale e cucina orientale, logica in un mondo che raccoglieva occidente ed oriente.

  1. Tavolinetto di bronzo a tre gambe
  2. Vasi di ceramica rossa smaltata a vetro
  3. Tazza di argento
  4. Piatto d’argento
  5. Piatto d’argento
  6. Posate d’argento
  7. Ciotola di bronzo
  8. Brocca di vetro
  9. Coppa di vetro
  10. Coppa di vetro
  11. Ciotola d’ambra
  12. Coppa di ceramica
  13. Cratere d’argento
  14. Brocca di ceramica rossa smaltata a vetro
  15. Brocca d’argento 
  16. Vaso di vetro bianco e azzurro lavorato in rilievo
  17. Brocca di bronzo da vino

I SERVIZI DA CUCINA

I servizi da cucina, cioè adatti a cucinare, potevano essere in bronzo, in rame, in ferro, in terracotta.

Alari da caminetto

I romani non usavano il camino se non un tipo rialzato ad altezza fornelli. Su questo ovviamente poggiavano degli alari, più o meno complessi, ma di solito molto semplici, perchè la “culina” era una stanza considerata di scarso pregio.
Nè gli ospiti nè i padroni di casa mettevano piede in cucina, zona riservata agli schiavi o ai servi. Anche se in alcune domus si sono travate cucine dalle pareti finemente decorate.


Ma i romani usavano pure un piccolo caminetto piccolo e basso nei termopolii.  Quelli in foto sono comunque piuttosto piccoli.

Anfore

In argilla o bronzo, di forma panciuta, fornita di anse o manici che collegano bocca o collo col corpo del recipiente, di forma allungata e strozzata all’imboccatura, terminante in una punta o in un piccolo piede per l’infissione nella sabbia o appositi sostegni.

Non conteneva solo liquidi, ma anche solidi. Vi si poneva vino, aceto, olio, latte, pesce o carni salate, cibi in salamoia, o salse varie. In quelle più piccole si riponevano legumi secchi, carni secche, pesce secco o farine.

Aristofane cita anfore “ piene di rosso e odoroso vino” ed Euripide parla di un’anfora di latte, Senofonte allude all’anfora che contiene delfini, sicuramente in salamoia.  

Frequente l’anfora con anse a S contrapposte. Le anfore di Pompei hanno due anse verticali e imboccatura circolare, in genere non sopraelevate.

A Pompei é diffuso un tipo a bocca rotonda di diametro pari a quello del piede. Le anse sono decorate nel punto di attacco al corpo del vaso, molto diffusa in area campana.

Attingitoio

Recipiente in bronzo costituito da una vaschetta e un manico, a pezzo unico o separati, con manico corto o lungo, curvato o diritto.
Quello in figura termina con una testa di serpente, ma se ne trovano con teste di uccello, le più frequenti, con teste di cani, di pantere ecc. o con fregi fatti in fusione.
I romani usavano decorare un po’ tutto, spesso anche gli umili oggetti da cucina. Difficilmente si trovava un oggetto senza un’orlatura particolare o una fusione applicata, sia pure un fregio.

Serviva per attingere liquidi e solidi insieme, tipo salse, olive, lupini, sottaceti o cibi conservati nell’olio ecc.

Bilance

Era in realtà la stadera, in ferro o bronzo, per pesate non di grande  precisione. Spesso usata per i cibi.

Era costituita da un solo piatto ed un lungo braccio graduato con tacche, con all’ estremità appese catenelle per sostenere il piatto, e sul quale scorreva un peso equilibratore costante, detto romano.
Il fulcro della leva era costituito da un gancio che sorreggeva la bilancia.
Immagine correlata
Caccabus

Specie di paiuolo o pignatta, per lo più di terracorra o anche di rame o d’argento (Varro ). Quella illustrata è in rame con tracce di stagnatura.

Se ne ha in un’iscrizione graffita metrica di Pompei: “Ubi perna cocta est si convivae apponitur, non gustat pernam lingit ollam aut caccabum.”
“Quando il prosciutto è messo insieme, se lo servi a un commensale egli non gusta il prosciutto, lecca la pentola o il tegame”. (è un graffito di Pompei).


CaldaiaImmagine correlataRecipiente di bronzo con tre elementi: base larga e fondo convesso, strozzatura sotto l’imboccatura, presa con anse o impugnature mobili. Spesso con coperchio.La forma può essere sferoidale, lenticolare o troncoconica. Sovente il coperchio era tenuto da una catenella perchè, se si rovesciava mentre cuoceva, non si dovesse ripescarlo tra le fiamme, visto che spesso veniva posto sulla fiamma viva.Può avere due attacchi provvisti di anelli, con catenella per consentire la sospensione del recipiente sul fuoco. Era presente in molte le case romane, per zuppe di vario tipo.

Calderone


Vaso di bronzo aperto a fondo arrotondato, posto su treppiedi per far riscaldare l’acqua; caratteristico della produzione etrusca, rinvenuti anche a Orvieto, Imola e in Abruzzo.

Il calderone in bronzo, rinvenuto nella tomba Bernardini di Preneste, con protomi di grifo e sirene, datato fine VIII sec. a.c., é probabilmente importato dalla Siria Settentrionale.
Di solito nelle domus si adoperavano sulla brace con treppiede.

Casseruole

Recipiente in bronzo o argento con vasca e manico piatto, fabbricati in un solo pezzo. Il manico é leggermente sopraelevato all’imboccatura, raramente inclinato verso il basso.

Risultati immagini per casseruola romanaA volte con decorazioni sugli elementi di presa. Non se ne conosce la funzione, perchè su nessuna delle casseruole di Pompei o del Museo Nazionale di Napoli si riscontrano tracce di annerimento da fuoco.

Questi recipienti sono praticamente gli unici stagnati e fanno parte dei pochi tipi di recipienti in bronzo bollati. Forse contenevano cibi che col bronzo o l’argento potevano deteriorarsi a contatto coi vari sali, e deteriorare il contenitore, il che spiegherebbe la stagnatura, visto che lo stagno è inerte agli acidi.

Nel I sec. d.c. compaiono per la prima volta le casseruole d’argento, quindi da tavola, con anse a tralci vegetali, rosette, conchiglie e animali marini, un tirso (tesoro di Boscoreale); nel servizio della casa del Menandro é rappresentata in alto una testa di Medusa. Sicuramente contenitori di lusso di frutta secca, datteri etc.

Catini

In genere di bronzo, talvolta di rame, ma meno usuale. 
Di forma tonda o tondeggiante, con un manico attaccato a due anelli, e dotato di anello per essere appeso.
Erano piuttosto fondi, si usavano per attingere acqua, o grosse quantità di cibo per banchetti con ospiti numerosi.
Colatoio

Recipiente di bronzo con vasca convessa, semiellittica, imboccatura ampia, alcuni di piccole dimensioni, privi di manico ma con anello di sospensione.

Altri di dimensioni molto grandi e molto aperti, collocati su un tre piedi o ad anello più ristretto di quello dell’imboccatura.

Evidentemente fatto per scolare verdure o altri cibi.

Colini

(colum) in lamina di rame, o recipiente in bronzo, argento o piombo spesso rinvenuto nelle necropoli, con parte cava e un manico, fabbricati insieme o separatamente, dotato di gancio per la sospensione.

Si adoperava per filtrare il vino nel versarlo dalle anfore nel cratere o nelle coppe. Ne esistevano anche in ceramica e in tela. In estate si colava il vino nella neve che veniva conservata in recipienti interrati.

Marziale riferisce un procedimento particolare che consisteva nel filtrare attraverso la neve, posta nella vasca del colum, chiamato nivarium, il vino per rinfrescarlo e, contemporaneamente per tagliarlo.

Il colum vinarium o colum nivarium. riservato ai ricchi, era di argento o di bronzo e consisteva in un contenitore con buchi che veniva riempito di neve e poi vi si versava il vino che, freddo, scolava nella coppa.
Per i poveri vi era il saccus vinarius, che era costituito da un semplice panno di tela.

Cratere

Era un grande vaso, in genere in bronzo, ma pure in terracotta o ceramica, utilizzato per mescolare vino e acqua nel banchetto greco e romano.

Aveva forma a campana e impugnature laterali, spesso su alto piede, o ovoidale con due impugnature laterali. Per conservare cibi o liquidi in luoghi freschi.

Nel corso del banchetto i crateri venivano posti al centro della stanza e venivano riempiti di vino, a cui veniva aggiunta acqua per diluirlo ed abbassare il contenuto alcolico.

Di datazione molto antica, fu usato soprattutto in Grecia e meno tra i romani che preferirono poi vasi di tipo più snello.

Forbici

Forbici o cesoie, in bronzo.
Servivano a tagliare le erbe e le verdure, ma pure i pesci per pulirli.
Talvolta per tagliare le carni più tenere, o le forme di formaggio, per farne stuzzichini minuti.

Fornello portatile


Si trattava di fornelli trasportabili in terracotta o ferro. Erano in terracotta refrattaria, cioè cotta ad alta temperatura.

Quello in foto è di origine etrusca, naturalmente usati in modo simile tra i romani. Anche la pentola era in terracotta e poteva essere munita anche di coperchio.

Si poneva la brace dentro il contenitore in basso dove si collocava una griglia interna e sopra vi si incastrava un’altra griglia di ferro con la pentola dove cuoceva il cibo.

Sotto aveva un’apertura dove si infilava la legna spezzata trasformandola pian piano in brace per le cotture lente, oppure si procedeva a legna per le cotture vivaci. Nella figura si vede sotto lo sportello alzato, che però di solito era a incastro.

Forno portatile

Creato completamente in terracotta refrattaria, semplice ed essenziale. Usato per fare le pizze dolci e salate, ma pure le focacce.

Il modello esposto a lato è stato reperito a Pompei. Il forno era un po’ più pesante del cosiddetto fornello portatile, per cui di solito non veniva spostato se non per esigenze particolari.

Ad esempio poteva essere posto in giardini sotto una tettoia per cuocere cibi in estate, magari per i commensali del triclinio estivo, oppure nell’interno della culina (cucina) se questa era abbastanza spaziosa, visto che di solito usufruivano di un’area molto limitata.


Graffione
(Kreagra)  Strumento fornito di ganci, in bronzo o ferro, con manico orizzontale che terminava in un tubo in cui si inseriva un manico di legno; il fusto si saldava ad un anello centrale intorno al quale erano disposti denti ricurvi, in numero dispari.

Si ritiene un utensile da cucina usato per infilzare e cuocere i pezzi di carne. Anche se questo uso è controverso.

Alcuni esemplari hanno manico vuoto, per l’immanicatura, con protome di serpente dalla cui bocca esce una forma tortile terminante in un anello circolare, da cui gli uncini a raggiera, in numero dispari, sormontati da un altro, perpendicolare al manico, con due punte sormontate a loro volta da un bottone.

Graticola

Simile a quella odierna, in ferro. A lato in foto la graticola romana di Como.

Como: Tra i ritrovamenti più interessanti di questi scavi c’è una locanda per viaggiatori che, grazie a un violento incendio che nel III secolo d.c. causò il crollo del tetto sigillando tutto quanto si trovava all’interno.

Il sito ha restituito attrezzi da cucina, tra cui mortai, una graticola e uno spiedo per cuocere le carni, oltre ad un gancio di sospensione.


Grattuggia

In bronzo o argento, rettangolare con bordo liscio su tre lati e fori disposti su due diagonali che si incrociano al centro.
Si grattugiava formaggio o tartufi o altro. Quella in figura è etrusca.

Di solito di usava l’impugnatura, che era piuttosto pesante per la stabilità della grattugia, in bronzo con forme varie, spesso di animali o altro.

Invece la parte che serviva per grattugiare era in genere in rame, per il fatto che questo metallo essendo più malleabile poteva essere trasformata in una lamina che una volta forata con un ferro appuntito tirava fuori dei denti diventando piuttosto tagliente.

File:Padelle e imbuto di epoca romana (I sec. d.C.).jpg
PADELLE E IMBUTO DI EPOCA ROMANA
Imbuto
Recipiente in bronzo con vasca e foro tondo incastrato nell’imboccatura di un cannello.
Il cannello é sempre troncoconico, lungo e sottile, con diametro molto inferiore all’imboccatura della coppa. Da non confondere con l’infundibolo.

Infundibula

Occorre distinguerli dai colini, oggetti composti da un colum, cui é aggiunto un imbuto mobile.

Grazie alla cerniera si permetteva di sollevare il colino se il liquido da travasare non doveva essere filtrato.

Gli esemplari di Pompei hanno la vasca traforata con motivi geometrici o vegetali.

Macinini
Immagine correlataEsistevano anche i macinini, come rinvenuto a Pompei. Gli antichi macinini non erano da caffè perchè il caffè ancora non esisteva, però erano molto simili, in bronzo e legno, con un cassettino, con una manovella e un recipiente di bronzo come quelli che ancora oggi si usano.
Il materiale macinato scivolava nel cassetto di legno apribile. All’interno dei vecchi macinini sono stati trovati residui di pepe e di varie spezie, evidentemente acquistate intere e poi macinate.

I romani andavano pazzi per le spezie che ricevevano dalle lontane province occupate, ne importavano dall’Asia e dall’Africa, oltre che dall’Europa.

Mortai

Erano di bronzo e di pietra. Venivano fusi o scavati nella pietra per poi decorarli in vari modi.

Ci si macinavano spezie, radici, foglie, fiori e corteccia, il tutto essiccato. Ci si pestava anche il sale, ma pure dei sali minerali.
Quello dell’immagine, in pietra, proviene da Pompei. Non ne è stato ritrovato invece il pestello, che poteva essere di bronzo o di ferro.


Olpe



Recipiente in bronzo per versare o di attingere il vino, molto semplice e rustico.

Con corpo in linea continua col collo e bocca o appena trilobata o rotonda. Usati per contenere olio, ma pure per il vino.

Talvolta gli veniva posto un rubinetto alla base da cui si poteva mescere vino. Il vaso in figura è apulo del III sec. a.c. ed è mancante di un manico.


Padella in bronzo
(Patella) Come la padella dei nostri giorni, ma in bronzo, erano usate per cuocere, con manico anch’esso in bronzo, talvolta in legno.

Con vasca ampia e bassa, tonda o ovale, un manico in pezzo unico e un beccuccio versatoio sul lato sinistro del manico. Il manico é lungo orizzontale, sopraelevato rispetto all’imboccatura. 


Le padelle, contrassegnate in alcuni casi da bolli, avevano o meno decorazioni sull’orlo e sul manico. Spesso nelle cucine le pentole si appendevano, per cui il manico era forato, oppure si ponevano su una mensola, quasi mai si riponevano in uno stipo. 

Pentola

Recipiente in bronzo a larga imboccatura con base convessa e ventre cilindrico, troncoconico, o sferoidale.

Quest’ultimo tipo presenta un’ansa mobile con catenella per sospensione e poteva essere adoperato sia come pentola da fuoco o solo come contenitore.

L’uso è come quello odierno.
Portaricotta

Spesso il portaricotta è stato ritrovato in bronzo scanalato.
E’ quello che vediamo nella foto a lato in un affresco di Pompei.
La ricotta era molto usata dai romani che abbondavano di pascoli di pecore.
Quelle per la tavola venivano talvolta bagnate nell’argento oppure eseguite direttamente in argento. Talvolta invece venivano dorate.Essa veniva usata sia da sola che come dolce, mescolandovi bacche, frutta e miele. 
Raccogli-cenere

Si usavano i raccogli-cenere perchè i Romani non usavano i camini per scaldarsi, ma camini minuscoli per cucinate, sia nei termopolii che nelle case.
Pertanto si usavano dei raccogli cenere, non solo per pulire i caminetti ma pure perchè la cenere aveva diversi altri usi. Ad esempio per preparare unguenti oppure per lavare i panni.

Scalda-vivande

In realtà era come un bollitore. Ce n’erano di cilindrici e di ovoidale come quello in immagine.

Infatti questo somiglia molto a un samovar,  munito di treppiedi, con catenella per il coperchio e con rubinetto in basso.

Si suppone venisse prima posto sulla fiamma e poi collocato sul treppiedi per non bruciare tovaglia e tavolo.

Scolatoio

Era un piatto traforato usato come scolatoio, oppure un mestolo.

Il piatto era in terracotta e con i buchi sul fondo.

Il colino in bronzo era un ampio scolatoio con lungo manico e tutto traforato sul fondo.

Situla


Vaso troncoconico od ovoide, in bronzo, argento e in ceramica. In alcune ritualità i partecipanti bevevano nella stessa situla.
Era un oggetto piuttosto arcaico e serviva ad attingere e contenere liquidi, in genere acqua o vino, per uso religioso o per uso profano.
Le più semplici erano usate pure nelle taberne, le più ornate nelle domus. se era grande come un secchio serviva ad attingere acqua dai pozzi.
Secchia

Corrisponde all’attuale mestolo, con vasca più o meno piccola, a volte a forma sferica, e da un lungo manico verticale o orizzontale, con un gancio o un anello di sospensione; in bronzo o argento.
I SERVIZI PER APPARECCHIARE 

Il servizio da tavola di lusso era in argento, talvolta anche con pezzi in oro, ma non includeva le forchette, sconosciute per i romani ma, oltre alle posate, cioè cucchiai e coltelli da portata, aveva bicchieri ovvero coppe per bere, zuppiere, conche, insalatiere, fruttiere, caraffe, bottiglie, piatti e scodelle, brocche e vasi per mescere, vassoi, salsiere, pepiere e perfino stuzzicadenti d’argento, il tutto lavorato a sbalzo e a cesello, o martellato o a fusioni applicate.



Anfore


Compaiono nel tardo impero le grandi anfore in argento con superficie decorata a sbalzo con motivi a fregio marino, e amazzonomachia, o corteo di satiri e baccanti.

Hanno collo leggermente rastremato, quasi cilindrico e due anse plastiche. Spesso sono guarnite con dorature.

Di forma panciuta ma non troppo, fornita di anse o manici che collegano bocca o collo col corpo del recipiente, di forma allungata e strozzata all’imboccatura, terminante in una punta o in un piccolo piede per l’infissione in appositi sostegni anch’essi in argento.

Per la sua eleganza entra a far parte dei ricchi oggetti da tavola. Ce n’è di diverse grandezze. Non conteneva solo liquidi, ma anche solidi.

Vi si poneva vino, aceto, olio, latte, pesce o carni salate, cibi in salamoia, o salse varie tra cui il garum. Molto diffusa l’anfora con anse a S contrapposte.

Askos

Vaso in bronzo o ceramica a forma di otre allungato, con apertura allungata e obliqua, più alta sul lato opposto all’ansa, atta a versare liquidi, specie vino ed olio.

Caratterizzato da un labbro espanso e orlo obliquo, entro a far parte delle tavole lussuose avendo forma di animali o lisce ma con forme sinuose e belle anse lavorate.

Fu utilizzato per contenere e per versare liquidi, soprattutto vino ed olio.
Soprattutto nelle realizzazioni in ceramica riprodusse figure di uccelli e di anatre, mentre nelle versioni in bronzo o in argento la decorazione venne riservata alle anse.

Attingitoio

Recipiente in bronzo costituito da una vaschetta e da un manico, pezzo unico o due separati, con manico orto o lungo, curvato o diritto.

Per attingere liquidi e solidi insieme, tipo salse, olive ecc.

Quello della tavola era in argento nelle case più ricche. Spesso aveva un manico corto molto elaborato e una conca piuttosto semplice e liscia.

Serviva per attingere dal piatto da portata e distribuire nei piatti.

Si usava per prelevare cibi semiliquidi o compositi, come polpette, pesce o carni al sugo (anche se non si conoscevano i pomodori le salse liquide esistevano)

Bacile

Da produzioni etrusche del VII-VI sec. a.c., in bronzo con orlo perlinato o a treccia, con vasca emisferica, senza piede con orlo vario, provvisto raramente di anse. Presso i Romani divennero oggetti di lusso per il banchetto.

I bacili rinvenuti a Pompei sono ovoidali e molto aperti, di profondità media, su un tre piedi o su base ad anello. Sono costituiti da due parti fissate l’una sull’altra da grossi chiodi. Il fondo é a calotta e la parete troncoconica. Hanno in genere anelli o impugnature fisse, per la presa.

Alcuni bacili avevano un emblema, in genere mitologico, al centro del fondo. Contenitore per carni, pesci etc. per banchetti. Si tratta di vasi molto comuni nei servizi da tavola utilizzati come contenitori di cibi liquidi e solidi, o anche come vasche per le abluzioni.

Bacino

Recipiente in bronzo con vasca emisferica, senza piede con orlo vario, raramente con anse.
Vasi molto comuni nei servizi da tavola utilizzati come contenitori di cibi liquidi e solidi, tipo carni e verdure in sughi o salse, o anche come vasche per le abluzioni. Il bacino con fondo ombelicato è molto noto in Etruria con orlo liscio o perlinato.

Accanto al tipo ombelicato, se ne conosce anche uno a fondo piano.
I bacini rinvenuti a Pompei sono recipienti ovoidali profondi, costituiti da due parti fissate l’una sull’altra da grossi chiodi. Il fondo è a calotta e la parete troncoconica. Erano in bronzo o in argento.

Bicchiere

I bicchieri, in argento o stagno, costituiscono un elemento importante nei servizi di argenteria del I secolo, come quelli della Casa del Menandro, di Boscoreale e di Hildesheim, preziosamente
decorati.

Compaiono un genere in una o due coppie. Nei ritrovamenti del III e del IV sec. sono rari o mancano del tutto, sostituiti da bicchieri in vetro che presentano le stesse forme dei pochi in argento.

I bicchieri in vetro sono cilindrici, a coppa o conici. Venivano esposti su tavolini per mostrare l’opulenza della domus ai visitatori.

Sono fatti in genere a sbalzo e cesellati. I bicchieri in vetro sono cilindrici, a coppa o conici. L’argento è sempre titolato a 925/1000. Nei ritrovamenti del III e del IV sec. sono rari o mancano del tutto, sostituiti da bicchieri in vetro che presentano le stesse forme dei pochi in argento.

I bicchieri in vetro sono cilindrici, a coppa o conici, variamente colorati, sfumati o con sovrapposizioni filiformi ecc.

Boccale

Recipiente in bronzo munito di una sola ansa, per liquidi come acqua, vino o latte. Ve ne erano di più elementari e di più raffinati, ma sempre di un certo gusto.

Aveva un modello semplicissimo, piuttosto liscio e un po’ panciuto, talvolta munito di coperchio con una piccola cerniera.

Si produceva anche in argento e in ceramica, ma nel mondo romano andò molto di moda produrne di vetro, con moltisimi colori e moltissime sfumature. la bellezza e la delicatezza dei vari colori li rese molto ricercati.

Bollitore

Recipiente di bronzo per scaldare i liquidi e mantenerli a temperatura costante. Erano dei veri capolavori. I bollitori sono sia fornelli (scaldavivande) che recipienti. A volte venivano messi come centrotavola nel banchetto per ammirarli ma pure per mantenere la portata in caldo.

Infatti erano di due tipi: alcuni disponevano in fondo di una griglia, su cui si poneva un carbone acceso molto sminuzzato che teneva in caldo il cibo.

Oppure disponeva di un cilindro centrale in cui si poneva i cibo, e di un cilindro esterno più ampio. Tra il cilindro interno e la parete esterna si versava il liquido molto caldo dall’alto, che veniva svuotato da un rubinetto alla base della parete esterna, per rimpiazzarlo poi con un liquido più caldo.
I recipienti che poggiano su tre piccoli piedi sembrano fatti per essere sospesi o trasportati. Però il tre piedi poteva avere solo la necessità di non poggiare direttamente sul tavolino per non bruciarlo.

Bottiglia


Recipiente in bronzo o argento per versare i liquidi; si distingue dalle brocche per l’apertura più stretta e il maggior pregio. Vennero poi di moda le belle bottiglie in vetro colorato e ornato.

Fa parte del Tesoro dell’Esquilino una bottiglia in argento a forma di fiaschetta con collo lungo e stretto e bocca larga.

La decorazione, di medaglioni circolari formati da girali vegetali, copre interamente la superficie, con geni intenti in diverse attività e animaletti che riempiono lo spazio tra i tondi.

Vi si versavano vini particolari o vini dolci o spumanti, che già esistevano all’epoca.

Brocca

In bronzo o argento, con imboccatura larga, ansa verticale e coperchio. La brocca biconica, in particolare fu molto diffusa.
A Pompei le brocche hanno ansa verticale e imboccatura circolare, stretta o di medie dimensioni.

Contenevano vino già allungato con acqua. In età primo impero di rado sono grandi e raramente decorate. In età primo impero di rado sono grandi e solo in pochi casi decorate.

 Nel IV sec. d.c. le brocche sono anche di notevoli dimensioni, più slanciate e decorate da scanalature tondeggianti o sfaccettature verticali, o con raffinati motivi geometrici, piccoli animali, resi a niello.

Calderone

Vaso di bronzo aperto a fondo arrotondato, posto su treppiedi per far riscaldare l’acqua; caratteristico della produzione etrusca, rinvenuti anche a Orvieto, Imola e in Abruzzo. Il calderone in bronzo, rinvenuto nella tomba Bernardini di Preneste, con protomi di grifo e sirene, datato fine VIII sec. a.c., é probabilmente importato dalla Siria Settentrionale.

Calice

In bronzo o argento, usatissimo in ambiente etrusco, soprattutto di bucchero; le riproduzioni in bronzo sono rare e vanno dalla fine del VII sec. agli inizi del VI a.c.

Gli esemplari in bronzo di Pompei hanno ventre ovale su vari tipi di piede, imboccatura verticale e orlo convesso.

Nei tesori di argenteria tardo-antica compare il calice con coppa emisferica su alto stelo elaborato, con piede a disco orlato da grosse sfere. Sostituito poi definitivamente col vetro con cui si realizzarono vere opere d’arte.

Cantharus

Coppa in bronzo o argento ovoidale o emisferica, con alto piede e anse verticali slanciate, che talora sormontano l’orlo. Il corpo é spesso decorato con motivi vegetali o figure.

Il cantharus in argento con Tritoni e Nereidi da Pompei, I sec. a.c., con unica ansa sopraelevata ha ricca decorazione a cesello. Sempre a Pompei, decorati da tralci di ulivo, i cantharus del servizio della Casa del Menandro, hanno due anse sopraelevate non saldate all’orlo, con lavorazione a sbalzo. Era decorativo ma veniva anche usato per offrire frutta fresca, datteri, frutta secca e dolciumi secchi.

Cesti di vimini

Nei dipinti di Pompei ne appaiono molti modelli.
I romani usavano molto il vimini, e non solo per i cesti che avevano comunque molti modelli.

Infatti c’erano cesti da tavolo e da terra, che fungevano da tavolinetto per appoggio. I romani del resto coi vimini facevano pure sedie, letti, divani e armadietti.

La lavorazione poteva essere semplice e complessa, non solo perchè si usavano intrecci diversi ma anche perchè impiegavano vimini più grossi o più sottili insieme, in modo da formare un disegno.

Ciotola

Recipiente aperto di bronzo, o di ceramica o di vetro, di dimensioni piccole o medie.

Diametro dell’imboccatura superiore a 8 cm., altezza superiore a 5 cm. Fa parte di questa forma l’acetabulum, una coppa ripiena d’aceto in cui immergere i cibi prima di portarli alla bocca durante il banchetto.

Talvolta veniva data agli invitati per servizi una certa quantità di cibo dal piatto di portata, senza dover attingere un boccone alla volta, oppure prendevano un pezzo intero che lo schiavo gli tagliava nella ciotola.

Colatoio

Recipiente di bronzo con vasca convessa, semiellittica, imboccatura ampia, alcuni di piccole dimensioni, privi di manico ma con anello di sospensione. Altri di dimensioni molto grandi e molto aperti, collocati su un tre piedi o ad anello più ristretto di quello dell’imboccatura.

Colino (colum)

Recipiente in bronzo, argento o piombo spesso rinvenuto nelle necropoli, costituito da una parte cava e un manico, fabbricati insieme o separatamente, dotato di gancio per la sospensione. Si adoperava per filtrare il vino nel versarlo dalle anfore nel cratere o nelle coppe.

Marziale riferisce un procedimento particolare che consisteva nel filtrare attraverso la neve, posta nella vasca del colum, chiamato nivarium, il vino per rinfrescarlo e, contemporaneamente per tagliarlo. Ne esistevano anche in ceramica e in tela. Occorre distinguere dai cola gli: infundibula, oggetti composti da un colum, cui é aggiunto un imbuto mobile. Gli esemplari di Pompei hanno la vasca é traforata con motivi geometrici o vegetali.

 Coppa

Di dimensioni maggiori rispetto alle coppette, in bronzo o argento, in genere senza anse. Usata per frutta, datteri, biscotti, etc.
Molto ricercata dai romani abbienti, specie nella prima età imperiale, come indicano i due esemplari con busti-ritratto di privati del tesoro di Boscoreale.

Usatissima nella prima età imperiale, due esemplari splendidi con busti-ritratto di privati sono stati rinvenuti a Boscoreale. Gli esemplari in bronzo di Pompei presentano pareti convesse e imboccatura molto più ampia della base che può essere portante, o su tre piedi o ad anello. Possono essere prive di manici, con manici sopraelevati o non sopraelevati. Stesso uso del Cantharus.

Coppa a conchiglia

In bronzo, argento, a valva di conchiglia, resa in modo naturalistico o stilizzata.
Usata per offrire impasti di pesce o bottarga, pesce a pezzi o salse di pesce. o ostriche.
Priva di piede, senza presa o sospensione, o provvista di due anse mobili o di un anello di sospensione.

La coppa a forma di conchiglia in argento, di epoca tardo-antica, del Tesoro dell’Esquilino é decorata all’interno da una raffigurazione di Venere assistita nella toilette da due amorini, alla presenza di Adone.

Coppetta

Recipiente di bronzo, ma pure di vetro o di ceramica aretina (detta pure “terra sigillata”) o d’argento, a forma aperta, di dimensioni piccole o medie.

Per le sue piccole dimensioni se ne ponevano diverse in tavola, con contenuti diversi. Vi si servivano olive, acciughe, capperi o salse varie, o piccoli sfizi.

Cucchiaio

I romani non usavano la forchetta ma usavano i cucchiai. Detto cochleārium “strumento per mangiare le chiocciole” è una posata da tavola con paletta concava ovale fornita di manico usata per cibi liquidi o non compatti.

Serviva a cavare i molluschi fuori dal guscio, come informa Marziale. Il cucchiaio è in bronzo, in argento, in legno, in osso. I cochlearia avevano manico lungo e diritto che finiva a punta.

Se ne trova sin dalla tarda repubblica (tesoro di Tivoli). Nel I sec. d.c., avevano coppa rotonda congiunta al manico. Dal IV – VII sec. d.c. erano ovali con un raccordo per il manico. Le ligulae invece avevano coppa più ampia, ovale e più pesante, con un manico diritto e a punta. In età tardo-romana ebbe manico ad occhiello con terminazione a testa di uccello.

Cucchiaio da Portata

Cucchiaio grande da portata rinvenuto a Pompei, nella Casa del Menandro.E’ lungo cm 40,9 ed ha un peso di g 163, tutto in argento. Era chiamato “Trulla” dai romani.

Da notare l’incurvatura per facilitare l’acquisizione del cibo. Erano per lo più lisci ma con manico lavorato.

Ditali d’argento

Di norma non li passava il padrone di casa se non in situazioni molto particolari con ospiti di grande riguardo.

Infatti in genere i commensali se li portavano da casa e servivano a non sporcarsi le mani con i cibi untuosi.


Lanx

Vassoio da portata in argento di varie dimensioni, sia ovale che rettangolare. Faceva parte del servizio da tavola, dell’argentum escarium, cioé piatti e vassoi da portata per cibi solidi.

A Pompei e a Boscoreale ne sono stati rinvenuti di tondi, elegantemente decorati nelle anse o lungo i bordi.
Le anse del grande piatto da Boscoreale sono ornate da delfini; quelle della Casa del Menandro sono a testa di Sileno circondata da due oche spennate.

Nei servizi di III e IV sec. d.c. i tondi diventano più rari, mentre i vassoi da portata, di misure diverse e di varia forma, sono completamente ornati e incisi a soggetti mitologici.

Lebete (lebes)

Recipiente di forma sferica in bronzo o argento, con bocca circondata da un breve orlo verticale,
impostato su un sostegno o un tripode. Spesso usato come premio ai vincitori di gare; Ateneo afferma che i lebeti erano utilizzati per mescolare il vino con l’acqua.

Olpe

Recipiente in bronzo per versare o di attingere il vino. Con corpo in linea continua col collo e bocca o appena trilobata o rotonda, é una variante dell’oinochoe.

Padella in argento

Accessorio del servizio da banchetto, adoperata per lavare le mani. Di solito c’era la grande brocca da cui si faceva scendere l’acqua con petali di rosa per far lavare le mani al convitato.

Sia la brocca che la padella erano in argento.
Così é rappresentato su un piatto in argento della fine del IV secolo da Cesena, che raffigura un servitore nell’atto di versare acqua da una brocca dentro la padella, mentre il convitato si sciacqua la mano.

Panieri

Ce n’erano di argento, di vimini, di legno con manici in ferro, di ferro con manici in legno.

Il pane era un alimento molto usato dai romani e ce n’era per tutti i gusti e tutti i prezzi.

Pepiera

(piperatoria) Dal Tesoro della “Casa del Menandro” di Pompei provengono due pepiere d’argento, I sec. d.c..

La prima ad anforetta con anse a nastro e piede a bottone sul fondo a sei fori, composta da due parti che si incastrano.

La seconda a sfera, scanalata, con disco a quindici fori saldato al fondo. L’uso del pepe indiano sembra sia iniziato nel I sec. d.c., si sa che esistevano anche macinini per il pepe.

Piatti

Ce n’erano in terracotta, in ceramica aretina, in argento, in bronzo. A Pompei piatti fondi in bronzo con pareti convesse e base molto larga ma poco profonda.
A Pompei piatti fondi in bronzo con pareti convesse e base molto larga ma poco profonda.

I piatti dei servizi di argento del I secolo sono generalmente rotondi, poco profondi, lisci e provvisti di anse orizzontali con la superficie superiore decorata a rilievo, e eseguite a stampo per fusione.

Vi sono i piatti dei servizi e i piatti da portata, che sono soprattutto tondi od ovali.

Sono a stampo o in fusione. Si ritrovano piatti ovali nella Casa del Menandro, in un servizio con un recipiente più grande e 16 piatti più piccoli. Praticamente i romani avevano i servizi di piatti, dai più grandi per le portate ai più piccoli per dolci e frutta.

I piatti, a volte con lo stesso stile delle coppette, sono decorati con piccoli medaglioni a niello e orlati con perle e astragali. In epoca tarda compaiono i piatti da portata, anche rettangolari o quadrati, o con bordo poligonale, naturalmente più grandi.

Piatti da portata

I piatti da portata in genere erano di metallo, in bronzo o argento, per sostenere il peso di animali interi. Infatti gli anfitrioni romani usavano i piatti di portata solo per far mostra, da parte degli schiavi, dell’animale cucinato e ornato con molta cura, dopodiché l’animale veniva riportato in cucina, tagliato e disposto in piatti fondi a bocconcini.

Non dimentichiamo che i romani, cucchiaio a parte, non usavano posate, esattamente come nel mondo orientale. I piatti, a volte con lo stesso stile delle coppette, sono decorati con piccoli medaglioni a niello e orlati con perle e astragali. In epoca tarda, quando di schiavi ce ne erano pochi e iniziava l’uso delle forchette (proibite poi dalla chiesa perchè reputate strumento del diavolo), compaiono i piatti da portata, anche rettangolari o quadrati, o con bordo poligonale, naturalmente più grandi.

Rhyton

Recipiente per bere, derivato dalla Persia, da lì in Grecia e da lì fino a Roma.

Iniziarono in forma di corno per poi passare alla forma di testa di animali, e se ne sono reperiti in argento, in argento dorato, e pure in oro.
Veniva usato ritualmente per libagioni speciali ma pure nei banchetti sontuosi.

Salsiera

Recipiente di bronzo, o di argento, o di ceramica aretina, poco profondo, con becco versatoio.

E’ corredata di una base ampia oppure di tre piedi, in genere in zampa di animale.
I Romani erano grandi estimatori di salse di ogni tipo, specie agrodolci.

Salinum

Recipiente in argento, o in vetro, o in legno, per contenere il sale.
Se in argento doveva essere riempito e vuotato ogni volta perchè il sale corrode l’argento.

Nel tesoro di Boscoreale se ne sono rinvenuti quattro cilindrici, di elegante fattura, con sostegni in forma di zampa ferina.

Scaldavivande

Recipiente di bronzo per scaldare le vivande mantenendole a temperatura costante. Erano dei veri capolavori. A volte venivano messi come centrotavola nel banchetto per ammirarli ma pure per mantenere la portata in caldo.
Infatti erano di due tipi: alcuni disponevano in fondo di una griglia, su cui si poneva un carbone acceso molto sminuzzato che teneva in caldo il cibo.

Oppure disponeva di un cilindro centrale in cui si poneva i cibo, e di un cilindro esterno più ampio. Tra il cilindro interno e la parete esterna si versava il liquido molto caldo dall’alto, che veniva svuotato da un rubinetto alla base della parete esterna, per rimpiazzarlo poi con un liquido più caldo.

I recipienti che poggiano su tre piccoli piedi sembrano fatti per essere sospesi o trasportati. Però il tre piedi poteva avere solo la necessità di non poggiare direttamente sul tavolino per non bruciarlo.

Simpulum

Adoperato per attingere e trasportare i liquidi dal recipiente dove era stata effettuata la
mescita, al vaso potorio o da libagioni, ma serviva anche da misura base sia per la miscela di vino e acqua, sia per la quantità di vino che veniva versata nelle coppe durante i simposi.

Nelle raffigurazioni il simpulum ha un lungo manico verticale, che permette di attingere anche da vasi con imboccatura stretta. In bronzo e in argento. A Pompei avevano un’ansa verticale non sopraelevata, con imboccatura tonda, bilobata o trilobata, con un becco e decorazioni in fusione. Alcuni mestoli, più grandi, venivano usati, con patere o bacili, per le abluzioni prima del pranzo.


Scodella

Recipiente basso ma più profondo del piatto, cilindrico o leggermente troncoconico, in bronzo, oppure in argento o ceramica aretina.

Vi si ponevano zuppe o creme, in genere attinte con la ligula, il cucchiaio di tipo fine.

Secchi

Erano di bronzo e di ferro a due manici ad anelli, o a un manico o senza manici, con bordo lavorato e arabescato.

Eseguiti in lamina un po’ leggera, di solito erano lisci e così i manici che terminavano spesso in una pallina.

La base aveva un bordo più consistente per permetterne un sicuro appoggio.


Secchia


Corrisponde all’attuale mestolo, con vasca più o meno piccola, ma sempre di una certa grandezza.

A volte a forma di vasetto globulare, e da un lungo manico verticale o orizzontale, con un gancio o un anello di sospensione; in bronzo o argento.

Era un vero e proprio piatto da portata e vi si servivano gli umidi o cibi in salsa o zuppe.

Simpulum

Un mestolo gigante, adoperato per attingere e trasportare i liquidi dal recipiente dove era stata effettuata la mescita, al vaso potorio o da libagioni, ma serviva anche da misura base sia per la miscela di vino e acqua, sia per la quantità di vino che veniva versata nelle coppe durante i simposi.

Nelle raffigurazioni ha un lungo manico verticale, che può attingere da vasi con imboccatura stretta. In bronzo o in argento.

A Pompei avevano un’ansa verticale non sopraelevata, con imboccatura tonda, bilobata o trilobata, con un becco e decorazioni in fusione.

Alcuni mestoli, più grandi, venivano usati, con patere o bacili, per le abluzioni prima del pranzo.

Spiedi

in ferro. – ” Il buon vecchio su l’accese schegge le abbrustolava, 

e di purpureo vino spruzzando le venìa. 

Scelti garzoni al suo fianco tenean gli spiedi in pugno di cinque punte armati: e come fûro

rosolate le coste, e fatto il saggio delle viscere sacre, il resto in pezzi negli schidoni infissero, con molto avvedimento l’arrostiro, e poscia tolser tutto alle fiamme. Al fin dell’opra, poste le mense, a banchettar si diero, e del cibo egualmente ripartito sbramârsi tutti.”
(OMERO – ILIADE)
Stuzzicadenti
Erano in argento, si distribuivano agli invitati alla fine del banchetto.
Naturalmente era una finezza per gente ricca.
Ovviamente poi venivano lavati e riciclati.

Tazze

Erano eseguite in terracotta, in ceramica aretina, in vetro, in argento e pure in bronzo.

Talvolta in alabastro o avorio, o in argento dorato.
Avevano due manici o un solo manico. istoriate e non.

Si usavano come oggi per bere un infuso caldo, ma venivano anche usate per berci il vino annacquato.

Teglie

Si usavano per dolci, con stampi incavati o senza.
Erano in ferro con un anello o un gancio per appenderle.

Raramente erano in terracotta, come quella qui accanto in foto, ed erano scanalate in genere a spirale o a centri concentrici per non far attaccare i dolci.

Kados

E’ la versione ovoide della situla con fondo arrotondato o a punta, in bronzo, argento o piombo.

Un oggetto a forma di casco adoperato come secchio per attingere acqua dai pozzi.

A volte, fornita di base che la conteneva, veniva usato come contenitore di vino nei banchetti.


Kyathos

(Cyathus) Vasetto in bronzo con ansa sormontante, provvisto di un unico manico, forse per misurare la farina e il grano.

Attestati in tutta l’Etruria tipi a corpo ovoide, sgolato, a rocchetto e piriforme.

In genere il manico è leggermente lavorato, mentre il bicchiere è in genere liscio, il che ne fa pensare ad un uso più di utilità che di buon gusto.

Kotyle

Coppa profonda con due anse, in bronzo, argento o oro. In età orientalizzante sono documentate a Preneste, in Etruria e in Campania. Per bere e brindare.

Kylix

Di origine greca ma usata anche dai romani per la sua eleganza.

Era una coppa piuttosto bassa e aperta, in ceramica o in bronzo, o in argento, o in argento e oro, con due anse, costituita da una tazza bassa e aperta, e da un alto piede.

E’ un vaso per bere, molto diffuso in ceramica ma poco in metallo. Si usava in banchetti sontuosi.

Quelle in ceramica, a figure rosse o nere, erano istoriate con personaggi e miti o con un paio di occhi.

Vasi

Erano di bronzo, aperti o con coperchio fissato ad una cerniera.
Ma c’e n’erano in abbondanza anche di vetro per conservare il cibo lavorato, sott’olio, sotto aceto, sotto salamoia o sotto garum, o con salse simili.
Potevano avere tappi di vetro smerigliato, o di sughero.

Versatoio

Era generalmente in bronzo o in argento, oppure in bronzo argentato.

Quello in foto ha una forma di fiasca con il corpo decorato da motivo fogliaceo, ansa a voluta, base esagonale su quattro piedi cilindrici e lungo becco impostato obliquamente.

  1. Batteria da cucina di bronzo 
  2. Recipiente di bronzo 
  3. Graticola Pentola di terracotta con coperchio
  4. Mestolo di bronzo
  5. Colino di bronzo
  6. Bracere usato come calidario Fornello portatile
  7. Vasi di vetro per conserve
  8. Boccale di terracotta 
  9. Zuppiera e ramaiolo 
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