Ecco alcune portate romane o semplici ricette del tempo

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CEREALI

Il frumento o grano duro si è insediato a Roma dal IV sec. a.c. soppiantando in larga parte il farro. In parte, ma soprattutto per gli animali: avena, orzo, miglio.

PANE

L’uso del pane si diffuse a Roma soltanto al principio del II secolo a.c.. Nell’ alimentazione antica il pane era poco usato, c’erano perloppiù piadine e focacce , il poco pane esistente si mangiava per lo più secco e veniva intinto nel vino o nel puls cioè una specie di polenta per dargli più sapore. Si usava anche un lievito fatto con mosto d’uva detto criscito.Il lievito veniva confezionato una volta l’anno durante la vendemmia con mosto d’uva e pasta fermentata.
Il primo pane venne preparato col farro. Con il grano, inizialmente, veniva fatta una pappa di frumento (la puls) che si distingueva dalla polenta dei Greci fatta, invece, con orzo abbrustolito e macinato.

Prima il pane veniva preparato nelle case mentre poi i fornai aprirono panetterie con forni e mulini.
Tre tipi principali di pane: il pan nero di farina stacciata rada consumato principalmente dai poveri, il pane bianco (panis secondarius) più bianco ma non finissimo e il pane bianco di lusso (panis candidus, mundus) fatto solo con farina finissima.

Tipi di pane:

  • Il cibarius, scuro e poco costoso; 
  • Il secondarius, fatto con farina integrale;
  • L’ autopyrus, un pane nero fatto con farina non setacciata;
  • Il siligeneus, pane bianco di grano tenero; 
  • Il parthicus, un pane spugnoso
  • il furfureus, fatto con la crusca, usato per gli animali ma pure dai poveri;
  • Il pane d’Alessandria, cotto con gli spiedi; 
  • Il piceno, cotto in pentola di coccio che si rompe di fronte ai commensali;
  • L’ adipatus, pane condito con il lardo; 
  • Il bucellatus, un pane biscottato; 
  • L’ ostearus, fatto per accompagnare le ostriche.

A seconda della cottura si distingueva il pane:

  • cotto nel forno (furnaceus)
  • fatto in casa (artopticus)
  • sulla parte di un vaso arroventato (clibanicus)
  • sotto la cenere(focacius) 

PIZZA

  • Piadine o focacce, cotte nella cenere e si univano a formaggio, olive, uova o funghi.
  • Libum secundum focaccia di frumento e cacio aromatizzata con alloro. 
  • Offa, piccola focaccia a base di farro, di origine antichissima. Di ordine religioso era invece l‘offa sacra, sempre dei tempi molto antichi, la quale veniva inzuppata in acqua, latte o vino dagli àuguri romani e l’impasto offerto ai sacri polli per trarne gli auspici, parimenti alla mola salsa. 
  • Insalata di polpa di pane e cacio, con olio d’oliva e capperi. 
  • Torta da rovesciare: (Prendi) dei pinoli e delle noci tritate, tostali e sminuzzali con miele, pepe, garum, latte e uova. Un po’ d’olio.

VERDURE

  • cavoli,
  • asparagi selvatici.
  • olive,
  • spinaci sia selvatici che coltivati,
  • indivia (cichorium endivia) sia selvatica che coltivata,
  • carciofi selvatici e dal I secolo d.C. anche coltivati e provenienti dalla Sicilia,
  • lattuga (lactuca) selatica e coltivata,
  • borragine selvatica fresca o cotta,
  • bietola selvatica e coltivata,
  • finocchio selvatico,
  • barbabietola la sua coltivazione in orto era praticata da Greci e Romani e usata come sciroppo di zucchero,
  • funghi, ed anche tartufi,
  • cardo (Plinio nella sua “Storia Naturale” lo annovera fra gli ortaggi pregiati),
  • cicoria selvatica e coltivata,
  • porro ortaggio da foglia apprezzato dalle popolazioni del Mediterranei fin dal tempo degli Egizi e usatissimo dai Romani,
  • valerianella selvatica.
  • Aliter Caroetas : Carote in salsa di cumino
  • Le olive erano per poveri e ricchi, ai tempi dell’impero c’erano già le Olive Ascolane del Piceno, farcite di carne, pesce e farina di frumento insaporita. Le olive venivano cucinate in tegame, al forno, conservate o semplicemente aromatizzate.
  • Olive nere in agrodolce: Si prepara una marinata composta da 3 parti di miele ed una di aceto, nonché un pizzico di semi di finocchiella, il tutto sufficiente a coprire interamente le olive.
  • Epityrum, pasticcio di olive “Olive da formaggio”, condite con erbe e spezie da mangiare con il formaggio di capra o di pecora.
  • Sufflé di asparagi di Apicio – (x4 persone): spezzettare 2 kg di asparagi e passarli; mescolare a parte pepe, garum, un bicchier di vino e 3 cucchiai d’olio e farli soffriggere. Aggiungere 6 uova e la crema di asparagi. Spalmare una casseruola con il composto e disporre 4 petti di pollo cosparsi di pepe abbondante. Far cuocere quanto serve..
  • Funghi cotti col miele.
  • Procurarsi foglie di erbe prevalentemente selvatiche come lattuga scura, crescione, coriandolo, senape, papavero, cipolla, aglietto. Si prenda una tazza di latte cagliato, dove si aggiunga aceto, sale e pepe. Con la salsa realizzata si condiscano le erbette ben pulite e lavate. 
  • Pulite e lavate della cicoria, scolatela e sminuzzatela. Aggiungetevi poche aggiughe, delle cipolle e delle uova sode tagliata a rondelle sottili. Condite con sale, aceto e olio d’oliva. 
  • Cuocete gli asparagi al vapore e fateli freddare. Amalgamate i tuorli d’uovo con ventresca di tonno, olio di oliva, capperi, succo di limone, sale e pepe, e aggiungete la crema ottenuta dagli albumi che avete montato a neve ben ferma. Con il composto ottenuto coprite gli asparagi. 
  • Erbe di campo, crude, con olio, garum, aceto; oppure cotte in pentola con pepe, cumino, bacche di lentischio.

I Romani cercavano anche piante per noi strane o sconosciute, come il gambo giallo-rosso dell’orobanche che è una pianta infestante. Come il finocchio selvatico o l’asparagio selvatico, si preparava per fare conserve che riempivano le dispense delle case, o le botteghe, gradito cibo per i mesi freddi.

I FORMAGGI

Il formaggio da usare veniva essiccato e salato; quello da conservare veniva pressato e messo al sole per nove giorni e aromatizzato con pepe, pinoli e vino. Il formaggio si consumava durante lo jentacolum e il prandium mentre a cena si preferivano i formaggi freschi.

  • Catone nel suo libro: “De Agricoltura” consigliava la cottura in un’unica pagnotta, con ricotta di pecora fresca, farina, uovo, sale e pepe. Impastare e farne delle palline da porre su foglie d’alloro da passare in forno finché non saranno ben dorate. 
  • Caseus – formaggio di capra, pinoli, mentuccia, timo, santoreggia, origano, aceto, pepe, olio.

LEGUMI

Spesso per le classi povere sostituivano la carne. I fagioli erano sconosciuti ai romani, perché di origine americana.

  • I ceci che esistono oggi sono solo coltivati e di origine asiatica, però i romani li usavano, sicuramente già coltivati, per minestre e contorni.
  • C’era invece la lenticchia perché importata dall’Asia e trapiantata. 
  • Lenticula – Lenticchie, porro, coriandolo, puleggio, laser (assafetida), menta, ruta, aceto, miele, garum, vino cotto, olio, pepe, amido di frumento
  • C’erano anche i piselli per contorno o minestre. 
  • I lupini plurilavati e leggermente tostati, si trovano in vendita anche per le strade di Roma, sulle bancarelle, come usa oggi. – La cicerchia, di antichissima coltura mediterranea, aveva uso limitato a causa dei semi che producono una sindrome neurotossica (latinismo), con convulsioni e paralisi, se consumata in grande quantità da uomini o animali. 

PIANTE AROMATICHE


In tutti i cibi della cucina dell’antica Roma figuravano sostanze aromatizzanti, e per legare meglio gli aromi alle salse usavano la fecola. 

  • La più usata era l’Aglio che non solo insaporiva ma aiutava a mantenere i cibi. Inoltre si mantenava con la semplice essiccazione. 
  • Porri 
  • Capperi 
  • Nepitella 
  • Bacche di mirto, con il mirto o mortella i Romani aromatizzato un insaccato che si chiamava “myrtatum”, sicuramente il progenitore della mortadella. Le sue bacche erano molto diffuse come ingrediente di salse o per esaltare i sapori della carne, come ricorda lo stesso Apicio.
  • Pinoli 
  • Nocciole 
  • Mandorle
  • Anice
  • Coriandolo
  • Mostarda
  • La Cipolla era usatissima anche perché si prestava all’essiccazione.
  • Il Ligustico, pianta usatissima ma scomparsa, sostituita col sedano.
  • L’Alloro ai usava in arrosti, minestre e piatti vari.
  • Il Pepe, importato dall’oriente, ottimo per conservare i cibi e bere vino.
  • Finocchio selvatico e finocchio marino sulle coste, ambedue usati.
  • L’Issopo era usatissimo, fiori e foglie per insalate, minestre, o arrosti. I fiori per salse e zuppe.
  • Il Ginepro  era considerato da Apicio una spezia essenziale nella cucina di un cuoco, in quanto ottimo sostituto del pepe, soprattutto per la carne, ma veniva utilizzato dagli antichi romani per preparare una bevanda alcolica, una specie di vino. 
  • L’Origano, pianta mediterranea, chiamata pure “maggiorana selvaggia”, su pesci, carne e insalate. 
  • La Maggiorana, una varietà di origano con un gusto più delicato, proviene dal Nord Africa.
  • La Cannella era importata dai tempi più antichi, per dolci e per il vino cotto, molto usato perché permetteva di conservare vini di bassa gradazione alcolica.
  • La Lavanda per dolci o carni arrostite.
  • Menta e mentuccia usate per arrosti, frittate, e pure gelati.
  • Prezzemolo, per insalate carni e pesci o minestre. 
  • Basilico, Plinio il Vecchio attribuiva alla pianta capacità di generare stati di torpore e pazzia e secondo Crisippo poteva essere dannoso per lo stomaco e per il fegato, ciononostante i romani ne facevano largo uso soprattutto sulle verdure..
  • Rosmarino molto usato dai Romani per minestre, carni e pesci.
  • Cumino importato da oriente.
  • Rucola molto ricercata per le salse e in insalata o sui formaggi.
  • Ruta per insaporire insalate o carni.
  • Salvia per minestre carni e formaggi.
  • Santoreggia usatissima dai Romani per insaporire molti cibi.
  • Sedano molto usato in insalate e carni, sia le foglie che i gambi.
  • Timo molto usato per le carni, minestre e salse, e pure per il vino cotto.
  • Zenzero coltivata da sempre anche se originaria dell’Asia, per cacciagione, crostacei, carni in generale. 
  • Tartufi, su carni e minestre.

CARNI – FERCULAE CARNES

La carne più utilizzata dagli antichi romani era quella di suino, le cui parti più apprezzate erano le mammelle e la vulva della scrofa perché contro il malocchio.
La carne migliore era, però, considerata quella di capretto e d’agnello, mentre la carne meno pregiata era quella di montone e capra. Poco apprezzato anche il pollo usato soprattutto dai poveri.
Molto apprezzata era la carne dei volatili, sia quelli allevati nei cortili e nelle voliere, sia la selvaggina.

Oltre a tordi e piccioni, i romani cucinavano animali esotici come fenicotteri, cicogne, e grù; i più ricercati erano i piatti a base di fagiano e pavone.
I più ricchi amavano gustare piatti a base di ghiro, e fenicottero di cui era molto ricercata la lingua.
L’allevamento di ghiri (gliraria) fioriva soprattutto nelle fattorie perché piatto molto ricercato.
Si mangiava anche l’asino selvatico (onager) e la selvaggina come il cinghiale, la lepre, l’oca, l’anatra, il cervo, il capriolo e il daino. L’agnello, il porco, semplicemente bolliti o cotti, erano piatti principali, ma mai la bistecca, perché la mucca non era apprezzata.

  • Arrosto di maiale al miele.
  • Minutal (fricassea di pesci e carne trita, cui si aggiunge un componente raro e raffinato: i testicoli di cappone).   
  • Ofellae (spezzatini di pollo).
  • Isicia (polpetta di carne).
  • Porcellum oenococtum (Maiale in salsa di vino) – In una pentola carne di maiale con olio, garum, vino, acqua, una manciata di porri, di coriandolo; colora a metà cottura con vino. Metti in un mortaio pepe, ligustro, cumino, origano, seme di sedano, radice di silfio. Trita e versa il garum, il grasso colato dal maiale stesso, aggiungi il vino e il passito; amalgama con farina, metti il porcello ben preparato in una padella, cospargi il pepe.
  • Minutal Matianum – Arrosto di maiale con le mele
  • Lessare un piccolo di cinghiale  in acqua salata, con l’aggiunta di molte foglie di alloro. Quando la carne sarà cotta, si riduca in porzioni da condire con aceto senape e sale. 
  • Gru o anatra lessata (di Apicio): lessa insieme a pepe, ligustico, cumino, coriandolo, menta, origano, pinoli, carota, garum, olio, miele, senape, e vino.
  • Insalata di piedini di manzo al miele e senape.
  • Pesce salato senza pesce (di Apicio): Cuoci il fegato, di lepre o di capretto o di agnello o di pollo, poi pestalo unendoci pepe o garum o sale. Dagli la forma di un pesce e ponilo in uno stampo con olio sotto e sopra. 
  • Pollo in salsa di datteri
  • Pullus Vardanus (Pollo di Vardo) – pollo, garum, olio, vino, porro, coriandolo, santoreggia, pepe, pinoli, latte,uova
  • Ficatum di Apicio: Ingredienti: fegato di maiale, aceto, pepe, sedano, bacche di alloro, sale, budelli di maiale
    Tagliare a pezzetti del fegato e metterlo in una marinata composta di aceto, pepe macinato, sedano tritato e bacche di alloro. Ritirare i pezzi di fegato dalla marinata, salarli, peparli, e riempirci dei piccoli budelli, legandoli bene. 
    Preparare una griglia unta e rovente ed arrostirci il ficatum. 
  • Terrina Tyrotaricha di pesce salato (di Apicio): Pulisci e cuoci in olio il pesce, poi uniscilo a cervella cotte, fegatini di pollo, uova sode, formaggio tenero, e scalda in terrina. Pesta pepe, ligustico, origano e una bacca di ruta unendoli a vino, mulso e olio cuocendo a fuoco lento. Poi unisci il tutto mescolando uova crude e spruzza con cumino.
  • Capretto alla partica: Lo metterai nel forno. Triterai pepe, ruta, cipolla, santoreggia, prugne di Damasco snocciolate, un po’ di vino, garum e olio. Ancora bollente si bagna sul piatto con l’aceto e si mangia.
  • Polpette di carne di Apicio – (x4 persone): amalgamare 5 etti di carne trita di maiale (o manzo) con 1,5 hg di mollica di pane ammorbidita nel vino. Unire con pepe, un cucchiao di garum e 500 g di pinoli. Cuocere le polpette in un bicchiere di vino.
  • Lingue di fenicottero cotte nel vino.
  • Anatra lessata con pinoli e datteri – pepe, ligustico, cumino, coriandolo secco, menta, origano, pinoli, carota, garum, olio, miele, senape e vino. 
  • Maialino arrosto  Trita pepe, ruta, santoreggia, cipolla, tuorli di uovo sodo, garum, vino, olio e condimento. Fai bollire. Versa il condimento sul maialino in un piatto da portata e servi in tavola. 
  •  Ventriglium di maiale  cioè lo stomaco in cui si cuociono ritagli di carni e interiora miste al sangue rappreso. Lo stomaco essendo elastico ed impermeabile funge da pentola e permette di ottenere un ottimo “umido”. 
  •  Tyrotarichum – uno sformato di ogni genere di alimenti che rispondeva appieno al loro gusto incline al salato/dolce, amaro/piccante 

PESCI

Altro alimento fondamentale nella dieta degli antichi romani era il pesce. Inizialmente veniva consumato soltanto nei periodi di carestia ma presto venne considerato un piatto prelibato. Veniva consumato fresco o in salamoia. I romani allevavano i pesci nei vivaria, cioè vivai di pesci e di molluschi lungo i fiumi o nei mari, il pesce era inoltre utilizzato in casa per preparare il garum casalingo, specie se si aveva un cuoco molto esperto.

Tra le specie più conosciute di pesci c’erano l’orata, il luccio, la sogliola e la triglia. Di solito il pesce veniva accompagnato da verdure bollite e anche da fegato e da carni varie. Molto apprezzati anche i pesci allevati nelle piscine: scampi, gamberi (soprattutto i tunisini), seppie, polpi, astici, murene, storioni, aragoste e molluschi vari che venivano insaporiti con ogni sorta di salse e accompagnati con uova di anitra, pernice e piccione. Tra i molluschi il più richiesto era l’ostrica e nelle ville più ricche c’erano allevamenti di ostriche. Ma anche in alcuni templi si allavava pesce nei ninfei.
Polpette di aragosta.

  • I crostacei si dividono in due e si pongono sulla gratella col guscio rivolto  alla brace. A parte si prepari del salmoriglio, ottenuto mescolando insieme olio, sale, pepe, aceto ed erbe aromatiche quali: origano, timo e rosmarino. Il composto va cosparso durante la cottura sulla polpa bianca dei crostacei. 
  • Pulire dei naselli, ungere una pirofila con lardo, disponetevi il pesce salato, pepato e infarinato, bagnatelo con del vino bianco e un’uguale quantità d’acqua. Passate la pirofila coperta in forno ben caldo per dieci minuti. Sfornate e sistemati i pesci sul piatto, bagnateli con il liquido di cottura rimasto, con qualche goccia d’aceto, copriteli con scagliette di lardo e aneto tritato.
  • Thynnus uvae (Tonno all’uva) – Mettete le fette di tonno e le cipolle tagliate sottili in una padella in olio caldo. Quando il tonno è leggermente dorato toglietelo lasciando le cipolle ed aggiungete la farina mescolando per ottenere una salsa. Aggiungete pepe, cumino, coriandolo, garum, uva, aceto, miele sempre mescolando e, quando saranno amalgamati, rimettete a cuocere il tonno per 15 minuti.
    Servite caldo.
  • Locustas-scillas (Cavallette-gamberoni – di Apicio) – Mescolare pepe verde macinato, semi di sedano, ligustro, aceto, liquamen e tuorli d’uovo sodo. Versare sui gamberetti già lessati e servire. (il nome cavallette è solo per il colore verdolino che assumono i gamberi col condimento)
  • Terrina Tyrotaricha di pesce salato (di Apicio): Pulisci e cuoci in olio il pesce, poi uniscilo a cervella cotte, fegatini di pollo, uova sode, formaggio tenero, e scalda in terrina. Pesta pepe, ligustico, origano e una bacca di ruta unendoli a vino, mulso e olio cuocendo a fuoco lento. Poi unisci il tutto mescolando uova crude e spruzza con cumino

UOVA

Le uova erano spesso consumate, da quelle di gallina a quelle di quaglia ma soprattutto quelle di oca, considerate un cibo molto rinvigorente specialmente per altleti o persone sottoposte a sforzi fisici.
Le uova erano fondamentali: “ab ovo usque ad mala”, ovvero dall’uovo alle mele, per dire ‘l’intero pranzo’ (Orazio), o comunque una sequenza completa di qualcosa, come dire dalla A alla Z. Molto apprezzate le uova di anatra, piccionee pernice.

  • Lessare delle uova, tagliarle e rinforzarle con una salsa fatta di vino e garum. L’imposto acquisterà un sapore veramente particolare se gli aggiungerete miele e pepe. 
  • Prepara una miscela con uova, latte e sale. Versa un poco d’olio in un tegame, quando è ben caldo versaci la miscela. Quando l’omelette è cotta da un lato, girala su un piatto piano, spalmala di miele e condiscila col pepe. 
  • Lessare separatamente dei filetti di sgombro e delle uova. Scolare il pesce, pulirlo e pestarlo con sedano, timo, origano, sale, pepe, ed i rossi d’uovo già lessati. Con questa salsa, riempire il bianco dell’uovo e condire con olio prima di servire. 
  • Ova Elixa (Uovo sodo) – Uova, garum, olio, pepe, laser (assafetida) 
  • Uova sode – Con salsa di liquamen, olio, puro o derivato da liquamen, pepe e silfio
  • Patina (omelette).

DOLCI – MENSA SECUNDA

Si trattava di dulcia domestica (pasticcini fatti in casa), dactyli farsiles (datteri farciti), dulcia simulae (paste di semolino), nonchè crustula (biscotti) e buccellae silinginae (bocconcini di segala).

Ma anche:

  • Fragole al miele e pepe
  • Mustacei – corrispondenti ai mustaccioli calabresi.
  • Palmulae farti (Datteri farciti) – datteri snocciolati e riempiti di pinoli e noci triturati, con aggiunta di pepe. I datteri si friggono poi nel miele.
  • Patina de piris – Torta di pere al cumino.
  • Dulcia domestica (di Apicio) Farcisci con un composto di noci, pinoli e pepe tritati i datteri snocciolati. Sala il tutto e scalda nel miele cotto.
  • Frittelle con miele e papavero
  • Libum primum, un pane dolcissimo edulcorato con miele
  • Globus che era come le nostre bombe fritte
  • Luncunculus – ovvero una sorta di bigné.
  • Crocchette a formaggio e miele. 
  • Sbattere in un recipiente latte cagliato, miele e sale, aggiungendo un po’ di farina di grano fino ad ottenere un impasto. Farne piccole porzioni e friggerle nello strutto. Quando le frittelle saranno ben dorate in tutte le parti, si tolgano e si servano bollenti, addolcendole con altro miele.
  • Paste di formaggio amalgamate con frutti.
  • Dulcis ex nucibus pinea (Dolce ai pinoli) – Fare un impasto abbastanza liquido con latte il pepe verde, pinoli sgusciati, miele, succo di limone e vino; cuocere a fuoco basso, e quando comincia a rapprendersi unite le uova sbattute. Servire versandoci sopra il miele e spolverando di pepe.
  • Datteri farciti e noci erano usati per la preparazione dolci, vere specialità della Roma antica.
  • Tipici i fichi secchi, a Roma reperibili in ogni stagione.
  • Encytus a forma di spirale; era pasta fritta e lievitata, per azione del formaggio contenuto, spalmato con abbondante miele e spruzzato con semi di papavero.  
  • Zucchero: Non avevano lo zucchero di canna e usavano il miele, sostituito anche con lo zucchero d’uva, un concentrato succoso e dolcissimo, e dallo sciroppo di barbabietola.
  • E’ tramandato l’uso di fare bollire a lungo fichi e mele cotogne nel mosto molto concentrato, tanto da ottenerne uno sciroppo che poteva essere usato anche come dolcificante.
  • Torta cartaginensis (ricetta di Catone) – Mescolare la farina al latte, evitando i grumi. Incorporare il formaggio, aggiungere del miele fluido e le uova. Cuocere il tutto in una marmitta di terra, finchè non sarà consistente e un pò untuoso.
  • La granita è un dolce freddo al cucchiaio, le cui origini vengono solitamente fatte risalire alla dominazione araba in Sicilia. nulla di più errato, la granita è di origine romana, Certamente non c’era la granita di caffè, ma di frutta ce ne erano diverse, dalle ciliege, al ribes, alle pere, e perfino all’ananas, che i romani conoscevano ampiamente come dimostrano vari mosaici. In quanto al ghiaccio ce n’era un servizio particolare, per cui dei commercianti salivano coi muli sui monti innevati e lo portavano a Roma dove veniva sotterrato in recipienti di metallo. Tritarlo non era certo un problema. La granita di frutta varia faceva dunque parte dei desserts romani.
IMMAGINE DI ANANAS TRATTA DA UN MOSAICO ROMANO

FRUTTA

A fine pasto frutta fresca: (ma la frutta veniva anche consumata a fine pasto o a metà mattina).

  • Mele, frutta fresca.
  • Pere, frutta fresca.
  • Mele cotogne, bollite col miele e anche mischiate con mandorle o nocciole.
  • Fichi freschi ma soprattutto secchi, con miele e mandorle, o per insaporire arrosti.
  • Pesche la loro introduzione in Europa venne attribuita ad Alessandro Magno nelle spedizioni contro i Persiani, secondo altri i Greci le avrebbero introdotte dall’Egitto.
  • Albicocche giunte dall’Armenia
  • Carrubo per dolci e minestre.
  • Melograno, frutta fresca.
  • Usatissimo anche nella pittura e nei bassorilievi romani.
  • Corbezzolo come frutta poco, più per salse o dolci.
  • Datteri essiccati come frutta o per carni. Importati dall’oriente.
  • Uva: i Romani avevano di diverse qualità di uva sa tavola ancora oggi esistenti, come la Baresana, la Regina, Pizzutello, Sultanina bianca (fresca o essiccata).
  • Giuggiole, fresche o essiccate.
  • Ciliegia e ciliegia amara: la prima consumata fresca, fu importata per la prima volta dall’Oriente da Lucullo e poi trapiantata.
  • La seconda era la ciliegia ottenuta dall’incrocio di un albero di Prunus Avium e l’alloro, che dava un prodotto squisito e leggermente amaro.
  • Cedro, dalla Persia portato nei Paesi Mediterranei e, probabilmente nel III secolo a.c., in Italia.
  • More selvatiche, come frutta o per dolci.
  • Corniolo selvatico oltre che come frutto per i dolci.
  • Ribes, rinomato quello che veniva dalla Sardegna.
  • Stranamente Ananas, il che dimostra che i romani erano giunti in America, che sembra, dai mosaici e dai dipinti, che fosse piuttosto usuale.

FRUTTA SECCA

  • Mandorle, introdotte in Sicilia dai Fenici, provenienti dalla Grecia, tanto che i Romani le chiamavano “noce greca”.
  • Nocciole
  • Noci
  • Pinoli erano usati come frutta, nei dolci, ma anche per la preparazione di arrosti.
  • Castagna, di largo uso veniva lessata, arrosto o essiccata, o cucinata con finocchio oppure in purea o zuppa.

GELATI

Si conservavano infatti blocchi di neve con paglia, foglie secche e teli di lana, che ci si era procurati nelle montagne più vicine. La neve era assai costosa per via di questo lavoro, comunque, chi poteva, gustava squisite creme gelate nella neve e gelati alla frutta, latte e uova.

PULLUM NUMIDICUM (pollo numidico), CONCHICLA CUM FABA (fagioli al cumino),
CONDITUM PARADOXUM (vino rosso speziato)

BEVANDE

  • Conditum Paradoxum: vino rosso speziato.
  • Latte:   veniva coagulato con succo di fieni rigurgitato da giovani ruminanti non ancora svezzati; Il caglio veniva scolato in cesti di giunchi ( fiscellae ) ancora oggi utilizzati. A bambini e ragazzi non si faceva mancare, almeno una volta al giorno, una ciotola di latte di cavalla. Catone scrive che per i piccoli era molto usato il latte d’asina perché leggero e digeribile. Per problemi di crescita si consigliava ai bambini il latte di capra o di pecora, mentre per gli adolescenti stanchi, ci si mescolava un po’ di vino rosso. Con latte di capra e di asina aromatizzato con crescione si preparavano delle ottime bibite. Il latte di mucca invece era meno apprezzato e consumato dalle classe più povere. Non si produceva burro in quanto difficile da conservare.
  • Mulsum, vino speziato al miele.
  • Aceto: come scrive Catone, sia il contadino che il guerriero in marcia preparavano prima di partire una borraccia, la riempivano d’acqua e poi aggiungevano un’irrorata abbondante di aceto. Con l’aceto si faceva una bevanda dissetante, disinfettante, e piacevole anche se acidula. Spesso nei contratti coi soldati era incluso l’aceto d’obbligo, e mai il vino.Il limone c’era ma non era usato per cucinare, solo per curare.

Il vino era di solito mescolato con l’acqua prima di berlo. La fermentazione non era controllata e il grado alcolico era elevato. A volte veniva migliorato da i produttori: sono state trovate indicazioni per trasformare il vino da bianco in rosso e viceversa.
A Roma i famosi Baccanali durarono sino al 186 a.C., anno in cui furono soppressi per il loro carattere orgiastico. Il culto riapparve negli ultimi anni della Repubblica con le feste viticole istituzionali, i Liberalia del 17 marzo per celebrare il dio Libero-Bacco, ed i Vinalia, festa del 19 agosto per propiziare la vendemmia.

IL VINO IN TOSCANA, ROMA E NELL’IMPERO

Per un lungo periodo la viticultura romana fu molto modesta, poi esplose, tanto che Marco Porcio Catone (234-149 a.c.) mise la vigna come la prima delle culture italiche.
I Romani poterono sfruttare l’opera degli Etruschi, che coltivavano le viti “maritate” agli alberi o “viti alberate”. Avevano così delle varietà tipiche dell’Italia Centrale come il Trebbiano, il Montepulciano, il Sangiovese.

Sembra che la vite esistesse in Toscana fin prima della comparsa dell’uomo. Trovandola, gli Etruschi colonizzatori dell’entroterra toscano e probabili primi abitatori delle zone del Chianti, l’avrebbero addomesticata da selvatica qual’era.
Col vino si onoravano i morti, insieme alla danza e al suono dei flauti. Soprattutto nel ceto aristocratico, erano diffuse pratiche religiose in onore di “Fufluns” (Bacco), il dio del vino. Questi riti segreti e strettamente riservati agli iniziati, grazie all’ebbrezza provocata dalla bevanda, per la “possessione” da parte del Dio.

I vini bevuti a Roma erano a bassissima gradazione alcoolica, quindi assai facili ad inacidirsi. I vini di lusso erano generalmente cotti e sottoposti a lunghissimo invecchiamento e, per essere poi bevuti, venivano mischiati con almeno il 50% di acqua. I vini importati dalla Grecia, dalle coste africane e dall’Asia Minore erano per lo più trattati con sostanze aromatiche: resine, estratti di erbe, miele, legni odorosi, essenze vegetali, mirra, assenzio profumi e rose.

Mentre per tradizione i vini greci in generale erano ritenuti i migliori, Plinio il Vecchio (23-97 d.c.) scrive nella “Naturalis Historia” che almeno due terzi della produzione totale proveniva dall’Impero ed elenca 91 vitigni diversi con 195 specie di vini. Tra questi 50 li definisce generosi, 38 oltremarini, 18 dolci, 64 contraffatti, 12 prodigiosi.
Catone afferma invece di conoscere 8 qualità di vino, Varrone 10, Virgilio 15, Columella 58.

Come i Greci avevano portato la vite nell’area mediterranea, così i Romani la trasmisero nel resto dell’Europa, anche se i vini ricavati avevano altre caratteristiche e soprattutto erano meno dolci. Essi portarono la vite in Provenza, nel Nord della Francia, in Germania, sul Reno e sulla Mosella.

Nei primi due secoli dell’Era Cristiana, l’Italia diventò il maggiore importatore di vino dell’Impero facendolo pervenire dalla Grecia, dalla Spagna e dalla Gallia. Ma la Spagna stava cominciando a diventare un grosso produttore di vino, e per produrrre vino si era tolta la produzione di grano procurando fame a tutto l’Impero.

Per questo Domiziano emanò un editto in cui si proibiva di piantare nuove viti in Italia, ordinando di tagliare i vigneti nelle Province, conservandone al massimo la metà. Vietò altresì di piantare anche piccoli vigneti nelle aree urbane italiane. Pare comunque che il Decreto di Domiziano, nato come misura politica, non sia mai stato effettivamente applicato.
Nel 280 l’Imperatore Probo abolì l’editto di Domiziano, dando però una forte spinta allo sviluppo dell’agricoltura.

I VINI MIGLIORI

  • In Italia, la Campania era la terra più fortunata, per il Faleno di Capua e il Falerno, raccomandato con 10 anni di invecchiamento e con due specie: il secco e il dolce. Pregiati anche il Massicum e il Calenum, provenienti per lo più dalla Campania.
  • Pregiatissimo il Cecubo, vitigno scomparso, che cresceva a sud del Lazio in un terreno paludoso.
  • Vicino a Roma si producevano l’Albano, il Sabino ed il Vaientano.
  • I romani amavano anche il Fondiano, il Vellerano, il Seniano, il Piperno, il Setino.
  • Dall’Abruzzo provenivano gli ottimi Peligni ed i Pretoriani.
  • Dal Veneto il Preciano ed il Raetico. 
  • Il Pucinum, del territorio di Aquileia piaceva molto a Livia, moglie dell’Imperatore Augusto.
  • Vini tipici campani erano il Massico, il Cumano, il Trifolino, il Sorrentino.
  • Più a sud il Tarentino, il pregiato Mamertino, prodotto nei pressi di Messina e fatto conoscere da Giulio Cesare.
  • Dalla Sicilia importavano inoltre il Potulanum, il Biblino, il Pollio, il Tauromenitanum, prodotto nell’attuale Taormina.

Dall’estero giungevano, fra gli altri, i vini di Chio, di Sicione, di Cipro. Si consumavano, inoltre, vinum rosatum (vino di rose) e vinum violatum (vino di viole).
Il vino era anche dolce, come il passum, (vino passito) dell’uva passa.
Di origine greca era lo spumante “Aigleucos” molto apprezzato dai Romani.
Anche i vini spagnoli erano di largo consumo. Nel 202 a.c. con la sconfitta di Cartagine e di Annibale, le regioni costiere della Spagna erano divenute colonie dell’Impero. Nelle province di Tarragona, Andalusia e nella città di Cadice, il vino era di ottima qualità ed arrivava a Roma in circa una settimana ed era usatissimo dai Romani.

Il contitum paradoxum era un miscuglio di vino, miele, alloro, datteri, pepe, zafferano cucinati e conservati dopo la cottura. Oppure si aggiungeva al vino di acqua di mare e colofonia. C’era anche l’usanza di porre nel vino piccole pepite d’argento per esaltarne il sapore.
L’aggiunta di farina di orzo e cacio permetteva di ottenere una pozione afrodisiaca, almeno a quanto si legge su una coppa rinvenuta ad Ischia: ”Chiunque beve a questa coppa subito sarà preso dal desiderio di Afrodite dalla bella corona”.

Furono i militari romani, tra i migliori estimatori del vino, ad esportare la coltivazione della vite in Europa settentrionale, prima liberamente poi seguendo precise regole dettate dagli imperatori, impiantandola in aree oggi famose e rinomate come Bordeaux, Borgogna, Loira e Champagne. Pertanto i famosi vini francesi devono la loro nascita ai vitigni coltivati dai romani e spesso proprio romani trapiantati nel mondo celtico dell’attuale Francia.

I CONTENITORI 

I dolia, recipienti panciuti che contenevano lo spumante, erano mantenuti a bassa temperatura con acqua fredda per impedirne la fermentazione. Ma contenevano anche vini normali, e allora venivano tappati ed interrati per 3/4 della loro altezza, che era attorno ai 2 m, dove avveniva la fermentazione. Se il vino ottenuto era torbido procedevano alla chiarificazione usando bianchi d’uovo montato a neve o latte fresco di capra.

Il vino destinato al consumo immediato era posto in otri fatti con pelli di capra o di maiale; quello destinato all’esportazione era versato in grandi contenitori di terracotta, i famosi pitroi che potevano contenere centinaia di litri e poi in anfore d’argilla a doppia ansa chiamate seriae, con una punta che si conficcava nel pavimento. Potevano contenere da 180 a 300 litri ed erano impermeabili in quanto all’interno erano spalmate di pece. Le anse delle anfore erano marcate con il nome del mercante o del produttore a garanzia della qualità. Il povero contadino si accontentava di un vinello leggero ottenuto con gli scarti della vinaccia. I vini di poco pregio non venivano travasati, quelli di pregio invece venivano versati in anfore

Prima del III° sec d.c. le anfore di ceramica erano i contenitori principali per il traffico marittimo con una capacità di una ventina di litri, chiuse ermeticamente con tappi di sughero, sigillati con pece che permettevano l’invecchiamento. Sulle anfore vi era un’etichetta stampigliata, che portava il luogo di provenienza del vino, il nome del produttore e quello del Console in carica.

Tra il 20 ed il 10 a.c. l’anfora fu sostituita con un tipo più leggero e capiente, che scomparve anch’esso verso la fine del I° sec. d.c., sostituito dalla “botte”, trasportabile anche da due soli uomini e caricabile sui carri.

IL FAST FOOD

Ma il vino non si beveva solo nelle case, perché c’era il thermopolium, un luogo di ristoro dove era possibile acquistare cibi pronti. Era un locale di piccole dimensioni con un bancone nel quale erano incassate grosse anfore di terracotta, atte a contenere le vivande. Ce ne sono ampi resti negli scavi di Pompei ed Ercolano.
La birra era conosciuta ma poco stimata.

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